È riuscito a prolungare la sua vita operativa – che sarebbe dovuta essere solo di poche ore – fino a oltre due settimane il nanosatellite Astrobio, rilasciato nello spazio a circa 6000 km di quota dal lanciatore Vega C, decollato a luglio scorso dalla base spaziale europea di Kourou, nella Guyana Francese.
Durante il suo viaggio, effettuato a quote orbitali dense di radiazioni estremamente elevate, Astrobio ha inviato il suo segnale forte e chiaro, carico di dati scientifici, per oltre 15 giorni.
Frutto di un’ampia collaborazione scientifica integralmente Made in Italy, il nanosatellite è stato realizzato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), dall’Istituto nazionale di Astrofisica (INAF) e dalla Scuola di Ingegneria Aerospaziale (SIA) della Sapienza Università di Roma, responsabile dello sviluppo, integrazione e operazioni della piattaforma, coadiuvata dall’Università di Bologna (UniBO) per la predisposizione dell’esperimento.
Il CubeSat sviluppato sotto la guida dell’ASI ospita un micro-laboratorio basato su tecnologiein grado di fornire una piattaforma per l’analisi delle biomolecole. In particolare, l’obiettivo primario della sua missione è stato quello di eseguire un esperimento di rivelazione di molecole organiche utilizzando un laboratorio ultra compatto (Lab on Chip) in condizioni rappresentative di una missione spaziale. Oltre che in microgravità, l’esperimento è stato effettuato in un ambiente orbitale caratterizzato da un flusso di particelle cariche e molto energetiche, comprendente una zona ostile come le Fasce di Van Allen interne, con dosi di radiazioni notevolmente superiori a quella naturalmente presenti sulla Terra e molto simile a diversi ambienti di spazio profondo.
Le sue applicazioni scientifiche nel campo dell’astrobiologia spaziano dalla ricerca di segni di vita nelle missioni di esplorazione planetaria al monitoraggio della salute umana nelle missioni con equipaggio.
“Questo progetto rappresenta la prosecuzione e validazione in orbita di quanto sviluppato e testato in laboratorio nell’ambito del progetto PLEIADES, una collaborazione tra ASI, SIA e UniBO portata avanti tra il 2016 e il 2019 – ha spiegato Simone Pirrotta, Project Manager della missione Astrobio e anche di PLEIADES. – Con questo ulteriore step di verifica di robustezza e versatilità, il dispositivo si candida a diventare uno strumento a disposizione dei futuri esploratori robotici e umani, ai quali sia utile o di interesse rilevare la presenza di molecole organiche nell’ambiente circostante”.