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Astrofisica, scoperte le impronte lasciate dall’esplosione delle prime stelle

La conoscenza della storia dell’Universo si arricchisce di un nuovo tassello, grazie alla recente scoperta delle impronte lasciate dall’esplosione delle prime stelle formatesi dopo il Big Bang.

È quanto emerge da uno studio condotto da un gruppo internazionale di scienziati dell’Osservatorio di Parigi, dell’Università di Firenze e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista The Astrophysical Journal.

Per la prima volta le tracce di queste esplosioni primordiali sono state identificate in nubi di gas diffuso molto distanti,risalenti a 11 miliardi di anni fa, osservate dai ricercatori attraverso il Very Large Telescope (VLT)dello European Southern Observatory (ESO), in Cile.

Lo studio nasce da una tesi di master del dottorando Andrea Saccardi svolta sotto la co-supervisione di Stefania Salvadori, docente dell’Università di Firenze, e di Valentina D’Odorico, ricercatrice INAF.

Come ha spiegato Salvadori: “Le prime stelle erano molto diverse da quelle attuali: nate da nubi di gas contenenti solo gli elementi chimici più semplici (idrogeno ed elio), erano più massicce del nostro Sole e dunque morirono rapidamente in esplosioni conosciute come supernove. Queste esplosioni arricchirono per la prima volta il gas circostante con gli elementi chimici più pesanti formati proprio nel cuore delle prime stelle. Da quel gas arricchito sono nate le stelle di seconda generazione, alcune delle quali, come fossili celesti, ancora abitano la nostra galassia e quelle vicine”.

La ricerca mostra che è possibile studiare in modo indiretto i corpi stellari ancestrali rilevando gli elementi che essi hanno disperso nell’ambiente circostante dopo la loro morte, quali carbonio, ossigeno, magnesio ed altri, diversi per quantità e qualità a seconda della massa e dell’energia di esplosione, rispettivamente, delle prime stelle e delle supernove.

A tale scopo, gli scienziati si sono avvalsi dello spettrografo X-shooter al Very Large Telescope, che – dividendo la luce in una gamma molto ampia di lunghezze d’onda, o colori – permette l’identificazione di elementi chimici diversi.

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