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Cambiamento climatico e oceani: indagati gli effetti sulla velocità di propagazione del suono sott’acqua

Gli effetti potenziali dei cambiamenti climatici sugli oceani e gli ecosistemi marini sono più diversificati e ampi di quanto si possa pensare. Una recente ricerca ha indagato i potenziali rischi associati al riscaldamento globale sul modo di propagazione del suono sott’acqua, elaborando una prima stima su scala globale della velocità del suono oceanico legata al clima futuro.

Lo studio, pubblicato sulla rivista internazionale Earth’s Future dell’American Geophysical Union – AGU è stato condotto da un team composto da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS).

Ma quanto incidono i rumori generati e trasmessi negli oceani e in che modo essi influenzano gli ecosistemi? A differenza di quanto si possa pensare, i mari sono ambienti piuttosto rumorosi: ai suoni emessi dagli organismi acquatici per spostarsi e comunicare tra loro si aggiungono i rumori legati a fenomeni naturali come le onde o la rottura del ghiaccio, e in misura ormai sempre maggiore, i suoni generati dall’uomo per esempio con il traffico navale o le attività estrattive.

Ebbene, dallo studio è emerso che cambiamenti climatici rischiano di modificare in maniera significativa il modo in cui i suoni si propagano negli oceani, aumentandone la velocità di propagazione sott’acqua e accentuando potenzialmente il rumore prodotto dall’uomo. Una scenario, questo, con effetti potenziali di un certo impatto sull’ecosistema marino.

In particolare, gli autori della ricerca hanno identificato gli hotspot – ossia i punti caldi – “acustici” dell’oceano che potrebbero avere un impatto significativo sulla vita degli organismi acquatici. Le analisi sono state condotte a 50 e a 500 metri di profondità.

Secondo le proiezioni delineate nello studio, il maggiore impatto potrebbe avvenire in due importanti aree: nel Mare di Groenlandia e nell’Oceano Atlantico nord-occidentale, a est di Terranova. In uno scenario di “non mitigazione” delle emissioni di gas serra, i dati dei modelli climatici proiettano un generale aumento della velocità media del suono entro la fine del secolo su scala globale. In particolare, nelle due aree più interessate dal fenomeno l’aumento sarà di oltre l’1,5%, ovvero di circa 25 metri al secondo sia nelle acque superficiali sia alla profondità di 500 metri.

“Le proiezioni mostrano che l’impatto maggiore avverrà nell’Artico, dove si osserva già un’amplificazione degli effetti del cambiamento climatico” ha spiegato Stefano Salon, ricercatore dell’OGS precisando “questo non avverrà uniformemente in tutto l’Artico, ma in una parte specifica in cui il segnale del cambiamento climatico, secondo le proiezioni del modello, diventa robusto e supera l’incertezza del modello stesso”.

Oltre ai due hotspot dove gli effetti stimati sono maggiori, lo studio ha inoltre rilevato un aumento della velocità del suono dell’1%, in media più di 15 metri al secondo, a 50 metri di profondità nel Mare di Barents, nel Pacifico nord-occidentale e nell’Oceano Australe.

Come ha sottolineato Alice Affatati, ricercatrice di bioacustica al Memorial University di Terranova e Labrador (Canada): “La modifica della velocità del suono ha un impatto rilevante e può influire sulla capacità degli organismi marini di nutrirsi, comunicare, trovare compagni, evitare i predatori”. In particolare, il gruppo di ricerca ha applicato la proiezione della variazione della propagazione sonora a uno specifico organismo marino: la balena franca nord-atlantica (Eubalaena glacialis), una specie a rischio di estinzione presente in entrambi gli hotspot acustici dell’Atlantico settentrionale. I risultati mostrano come probabile che la tipica vocalizzazione di queste balene, a 50 Hertz, si propaghi più lontano in un futuro oceano più caldo. “Abbiamo scelto una specie di megafauna, ma molti organismi che vivono nell’oceano sono influenzati dalla propagazione del suono” ha aggiunto Affatati“tutti questi hotspot sono, infatti, aree caratterizzate da grande biodiversità”.

Il prossimo passo sarà estendere lo studio, confrontando le proiezioni di variazione della velocità del suono con altri impatti antropogenici, per individuare nuove aree a rischio e sviluppare eventuali progetti di monitoraggio.

Lo studio pubblicato su Earth’s Future

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