L’Istituto per le scienze marine (Ismar) del CNR e il Geomar Helmholtz Centre for Ocean Research di Kiel hanno di recente condotto uno studio che getta nuova luce sul ciclo del carbonio marino. Si tratta di quel meccanismo, noto come “pompa biologica del carbonio” (BCP), che contribuisce a trasportare la CO2 dalle acque superficiali verso le profondità marine lontano dal contatto con l’atmosfera e di cruciale importanza per ridurre i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera.
Secondo il team di ricercatori che ha partecipato allo studio, per quantificare tale processo è necessario considerare non solo quanta CO2 viene immagazzinata in profondità ma occorre anche studiare quanta anidride carbonica ritorna in atmosfera per via della circolazione oceanica. Si tratta di una conclusione che porterebbe gli studiosi a sfatare l’idea per cui vi sia un collegamento diretto tra la cosiddetta “Export Production” e l’accumulo di CO2 di origine biologica (Carbon Storage) nell’oceano profondo.
Una stima più semplice e diretta dell’accumulo di CO2 nelle profondità del mare può essere fatta misurando il contenuto di ossigeno in esso disciolto. «L’oceano svolge un ruolo chiave nell’immagazzinare anidride carbonica; tuttavia, nel determinarne le quantità, spesso viene trascurato il ruolo fondamentale della circolazione oceanica: è quest’ultima, infatti, che determina effettivamente quanta CO2 può essere accumulata a lungo termine nell’oceano e isolata dall’atmosfera», ha spiegato Angela Landolfi, ricercatrice del CNR-Ismar tra le autrici dello studio. Le variazioni della circolazione oceanica, dunque, aiutano a spiegare il motivo per cui il meccanismo della BCP stia oggi aumentando.
Tuttavia, la Landolfi avverte che «l’effetto che contrasta l’aumento della CO2 atmosferica derivante dalla pompa biologica del carbonio è purtroppo poca cosa, se confrontato con le emissioni antropogeniche di CO2 dai combustibili fossili».
Per ulteriori approfondimenti sullo studio compiuto si rimanda al seguente link.