Un contributo rilevante per una valutazione della pericolosità vulcanica dell’area flegrea arriva da un nuovo studio condotto dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e recentemente pubblicato sulla rivista Journal of Geophysical Research: Solid Earth di Agu (Advancing Earth and Space Science). Lo studio ha messo a fuoco le dinamiche delle due principali sorgenti magmatiche sottostanti la caldera dei Campi Flegrei, consentendo di ricostruire l’architettura del sistema magmatico profondo all’origine del bradisismo.
“Le caldere sono depressioni vulcaniche formate dal collasso delle rocce a tetto della camera magmatica che viene svuotata durante enormi eruzioni”, ha spiegato Lucia Pappalardo, ricercatrice dell’INGV e co-autrice dello studio. “Spesso manifestano delle fasi di ‘unrest’ (ovvero di ‘squilibrio’), con frequenti terremoti, sollevamento del suolo (il cosiddetto ‘bradisismo’) e un considerevole flusso di gas e calore. Tuttavia, poiché questa attività è dovuta alle complesse interazioni tra magma e sistema idrotermale immagazzinato sotto il vulcano, è sempre difficile identificare la sorgente e prevedere l’evoluzione di queste manifestazioni”.
Dallo studio è emerso che le variazioni della composizione dei gas fumarolici misurate negli ultimi decenni alla caldera dei Campi Flegrei sono originate dalla depressurizzazione e cristallizzazione di due principali sorgenti magmatiche: una più profonda, che ha alimentato la crisi bradisismica dei primi anni Ottanta trasferendo un significativo volume di magma verso la seconda sorgente, meno profonda, che invece ha alimentato i gas fumarolici durante la crisi iniziata nel 2000 e ancora in corso.
“Confrontando la composizione chimica dei magmi coinvolti nelle passate eruzioni flegree con quella dei gas magmatici attualmente emessi alle fumarole della Solfatara, abbiamo ricostruito le attuali dinamiche del degassamento magmatico”, ha aggiunto Antonio Paonita ricercatore dell’INGV e coautore della ricerca.
“Il nostro studio mostra come i gas rilasciati dal magma in risalita nelle zone profonde del sistema di alimentazione del vulcano si accumulino alla base del sistema idrotermale sovrastante, localizzato a circa 3 km di profondità, il quale viene riscaldato e pressurizzato, deformando e fratturando le rocce crostali più superficiali e dando così origine a fenomeni di sollevamento del suolo e terremoti tipicamente osservati nell’area”.
Analizzando le minuscole gocce di magma intrappolate nei cristalli dei prodotti vulcanici emessi negli ultimi 15.000 anni, i ricercatori hanno così ricostruito l’architettura del sistema magmatico profondo dei Campi Flegrei.
“Attraverso modelli termodinamici è stato possibile riprodurre gli scenari di degassamento magmatico profondo che negli ultimi decenni hanno controllato le variazioni della composizione chimica e del flusso dei gas fumarolici misurati alla Solfatara”, ha sottolineato infine Gianmarco Buono, vulcanologo dell’INGV e coautore della ricerca.
Lo studio segnala, inoltre, che le informazioni ottenute combinando dati petrologici e geochimici siano fondamentali per comprendere anche le dinamiche di trasferimento del magma relative alle porzioni di crosta profonda più “silenziose” da un punto di vista sismico. Un aspetto, questo, che potrebbe contribuire alla messa a punto, in futuro, di migliori strategie di monitoraggio sismico.
Fonte: INGV