Un recente studio multidisciplinare ha consentito di riscrivere la storia di uno dei disastri più devastanti del mondo antico, l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., indicando la necessità di un approccio multidisciplinare per la ricerca vulcanologica e delineando nuove prospettive per la comprensione di eventi che potrebbero avvenire in futuro.
L’articolo, pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Earth Science Reviews di Elsevier con il titolo “The 79 CE eruption of Vesuvius: A lesson from the past and the need of a multidisciplinary approach for developments in volcanology” sposta la data della devastante eruzione dal 24 agosto del 79 d.C, come si era ipotizzato in passato in base alla descrizione dell’evento contenuta in una lettera di Plinio il Giovane destinata a Tacito, all’autunno dello stesso anno.
Attraverso una revisione completa dei risultati presentati da studi precedenti, integrati con la raccolta di dati originali, lo studio ha permesso di individuare l’esatta datazione dell’evento e di seguire gli effetti dell’eruzione fino a migliaia chilometri di distanza, aprendo nuovi fronti di ricerca per eventi simili.
La ricerca è stata condotta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con l’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IGAG-CNR), il Centro Interdipartimentale per lo Studio degli Effetti del Cambiamento Climatico (CIRSEC) e il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, il Laboratoire Magmas et Volcans di Clermont-Ferrand (LMV) in Francia e la School of Engineering and Physical Sciences (EPS) della Heriot-Watt University di Edimburgo nel Regno Unito.
“Il nostro lavoro esamina con un approccio ampio e multidisciplinare diversi aspetti dell’eruzione del 79 d.C., integrando dati storici, stratigrafici, sedimentologici, petrologici, geofisici, paleoclimatici e di modellazione dei processi magmatici ed eruttivi di uno degli eventi più famosi e devastanti che hanno interessato l’area vulcanica napoletana”, ha spiegato Mauro A. Di Vito, vulcanologo dell’INGV e coordinatore dello studio. “L’articolo parte dalla ridefinizione della data dell’eruzione, che sarebbe avvenuta nell’autunno del 79 d.C. e non il 24 agosto come si è ipotizzato in passato, e prosegue con l’analisi vulcanologica di siti in prossimità del vulcano per poi spostarsi progressivamente fino a migliaia di chilometri di distanza, dove sono state ritrovate tracce dell’eruzione sotto forma di ceneri fini”.
“Fin dal XVIII secolo, la data del 24 agosto è stata oggetto di dibattito fra storici, archeologi e geologi perché incongruente con numerose evidenze”, ha chiarito Biagio Giaccio, ricercatore dell’IGAG-CNR. “Come, ad esempio, i ritrovamenti a Pompei di frutta tipicamente autunnale o le tuniche pesanti indossate dagli abitanti che mal si conciliavano con la data del 24-‒25 agosto”, ha aggiunto Giaccio. La prova definitiva dell’inesattezza della data è però emersa solo pochi anni fa. “Un’iscrizione in carboncino sul muro di un edificio di Pompei che tradotta cita ‘Il sedicesimo giorno prima delle calende di novembre, si abbandonava al cibo in modo smodato’, indicando che l’eruzione avvenne certamente dopo il 17 ottobre”, ha concluso il ricercatore.
La data più accreditata per il tragico evento è dunque quella del 24-25 Ottobre.
Ma la ricerca non si è limitata a collocare l’evento entro la giusta cornice temporale. L’integrazione tra lo studio sul campo, le analisi in laboratorio e la rilettura delle fonti storiche ha consentito di seguire temporalmente tutte le fasi dell’eruzione, dalla camera magmatica fino alla deposizione della cenere in aree lontanissime dal Vesuvio, trovandone traccia fino in Grecia. La ricerca è stata quindi integrata dalla valutazione quantitativa dell’impatto delle singole fasi dell’eruzione sulle aree e sui siti archeologici vicini al vulcano.
“Lo spirito del nostro lavoro è stato quello di comprendere come un evento del passato possa rappresentare una finestra sul futuro, aprendo nuove prospettive per lo studio di eventi simili che potranno verificarsi un domani”, ha proseguito Domenico Doronzo, vulcanologo dell’INGV e coautore della ricerca. “Questo studio, quindi, consentirà di migliorare l’applicabilità di modelli previsionali, dai fenomeni precursori all’impatto dei vari processi eruttivi e deposizionali, ma potrà anche contribuire a ridurre la vulnerabilità delle aree e delle numerose infrastrutture esposte al rischio vulcanico, non solo in prossimità del vulcano, ma – come ci insegna questo evento – anche a distanza di centinaia di chilometri da esso”.
Un punto particolarmente rilevante e attuale toccato dalla ricerca è quello relativo ai possibili effetti delle eruzioni vulcaniche sul clima.
“Negli ultimi anni è diventato sempre più importante comprendere l’impatto delle eruzioni sul clima anche per poter studiare l’origine e l’impatto di alcune variazioni climatiche brevi. Tuttavia, non conosciamo ancora molto – e con la risoluzione adeguata – delle condizioni climatiche al tempo dell’eruzione del 79 d.C.”, ha spiegato Gianni Zanchetta dell’Università di Pisa e coautore della ricerca.
“In questo lavoro abbiamo cercato di mettere insieme le conoscenze sulle condizioni climatiche regionali al tempo dell’eruzione per tentare una prima sintesi anche per indirizzare le ricerche future su questo aspetto che ha ancora molti lati oscuri”, ha commentato Monica Bini dell’Università di Pisa.